Onorevoli Colleghi! - Il giro d'affari mondiale della pirateria e della contraffazione commerciale è valutato in 250 miliardi di dollari annui.
      In pochi anni la contraffazione e la pirateria, e comunque la concorrenza sleale, si sono estremamente raffinate, tanto da falsificare anche loghi e marchi di fabbrica.
      In conseguenza di ciò, pur ritenendo necessaria l'istituzione di un marchio «100 per cento Italia», la si ritiene insufficiente se non inserita in un sistema complessivo di protezione e di controllo, che non è possibile far gravare, come accaduto sinora, sulle singole aziende e nemmeno sulle loro associazioni, ma di cui devono farsi carico lo Stato e l'Unione europea.
      A fronte di questo quadro, la presente proposta di legge nasce dall'esigenza di tutelare non solo i consumatori, ma anche il sistema produttivo italiano che, per sua natura, è proiettato verso i mercati esteri.
      Il diritto d'autore è stato introdotto in Cina solo da pochi anni, se si considera che la prima legge in materia risale al 1990 e che solo nel 1992 ha aderito alla Convenzione di Berna e ha istituito la Copyright Agency of China chiamata a tutelare i diritti degli autori.
      Recentemente però la Cina si è trovata a dover affrontare la tutela della proprietà intellettuale in modo concreto, spinta a uniformarsi a seguito del suo ingresso nel WTO, avvenuto nel 2001, alle normative internazionali in materia.
      In quell'anno la Cina ha così modificato la legge sui marchi, la legge sui brevetti e la legge sul copyright, introducendo una nuova normativa anche in materia di concorrenza sleale, tutela del software, licencing, nomi a dominio e tutela dei prodotti farmaceutici.

 

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      Tra i mercati emergenti la Russia, con i suoi 144 milioni di consumatori, è sempre stata uno dei paradisi per le merci contraffatte, con danni evidenti per il Made in Italy soprattutto per beni di consumo come scarpe, vestiti e occhiali.
      Recentemente il Governo italiano ha segnalato a quello di Pechino circa 1.000 violazioni nel settore della moda.
      Il giro d'affari illegale è di 4 miliardi di euro l'anno, oltre a 1,5 miliardi di euro nel settore delle calzature e pelletterie. Se si valuta che il settore tessile-abbigliamento italiano ha una produttività media di 165 mila euro ad addetto ne consegue una perdita di posti di lavoro pari a 25 mila unità.
      Nell'ultima indagine campione effettuata dal «Sistema moda Italia» due capi su dieci erano falsi.
      L'Agenzia delle dogane ha firmato (gennaio 2003) un memorandum d'intesa con i rappresentanti dei calzaturieri.
      Ormai una scarpa su tre è prodotta in Cina, ma anche a Taiwan, in Polonia e in Russia.
      Si tratta di 50,2 milioni di scarpe nel 2002. Inoltre ci si scontra con barriere tariffarie e non, pari a circa il 65 per cento del prezzo per l'ingresso in India e in Cina, mentre il Giappone si rifiuta da anni di rinegoziare i contingenti di importazione oltre a gravare con pesanti dazi la merce in ingresso.
      Va ricordato che il sistema esporta 1'83 per cento della produzione, ma nel 2002 ha subìto un calo dell'export di circa il 10 per cento.
      Si riportano, in ordine cronologico, alcuni dei più clamorosi casi di contraffazione e di commercio abusivo scoperti in Italia negli ultimi anni; ovviamente non si ha alcuna pretesa di esaustività, ma solo di mera elencazione di fatti riportati dalle agenzie di stampa nazionali.
      Nel luglio 2002 i carabinieri hanno sequestrato a Napoli oltre 2.000 borse griffate, di qualità tale da non essere facilmente distinguibili dalle originali.
      Probabilmente erano destinate al mercato legale.
      Nell'operazione denominata «Veronica» oltre le borse sono state scoperte due fabbriche abusive con sofisticati macchinari; 17 operai vi lavoravano in totale assenza di tutele.
      Un'organizzazione commerciale cinese con sede legale e depositi a Roma riproduceva perfettamente le scarpe Nike e gli accessori per cellulari Nokia, completi di confezioni. È stata scoperta dalla Guardia di finanza, che ha avviato le indagini da sequestri effettuati a venditori ambulanti abusivi.
      A Campi Bisenzio nel gennaio 2003 la Guardia di finanza ha sequestrato due capannoni in cui venivano stoccati capi di pelletteria con il logo Fendi e Alviero Martini.
      I pezzi erano 150.000. L'organizzazione era completamente cinese, sia l'amministratore, che gli operai e gli acquirenti.
      Oltre al fenomeno della contraffazione e della pirateria, sta dilagando il fenomeno della delocalizzazione delle imprese, prima nell'est europeo, oggi soprattutto in Cina.
      Il basso costo della manodopera e l'assenza delle previdenze sociali spingono molte aziende italiane produttrici di calzature, abbigliamento e moda, a investire e realizzare altrove i loro prodotti che poi rientrano in Italia, spesso per essere assemblati o direttamente venduti a prezzi bassissimi e con grandi margini di guadagno usando l'etichetta «Made in Italy».
      Il marchio «Made in Italy» permette inoltre di usare impunemente materiali di pessima qualità e manodopera poco preparata.
      La presente proposta di legge vuole tutelare i settori maggiormente colpiti.
      L'impostazione del testo consente pertanto un'ampia gamma di tutele sia di prodotti industriali che artigianali, di qualsiasi comparto merceologico, allo scopo di avere uno strumento agile e adattabile alle diverse circostanze.
      D'altra parte si ritiene del tutto insufficiente l'apposizione di un semplice marchio, metodo di tutela passivo in quanto anch'esso falsificabile, mentre è necessario che il marchio sia il punto di partenza di tutta una serie di interventi propri sia dell'azienda danneggiata, sia della pubblica amministrazione. Sarà poi cura del
 

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Ministero delle attività produttive dettare criteri applicativi dettagliati, presumibilmente comparto per comparto, per l'attribuzione del marchio.
      Spetta inoltre al Ministero la registrazione del marchio «100 per cento Italia» in sede comunitaria e internazionale.
      La presente proposta legge introduce pertanto il marchio «100 per cento Italia», la cui proprietà è nelle mani dello Stato che ne concede l'uso su richiesta e dietro sottoscrizione di un protocollo di adesione.
      Le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura esercitano un controllo sulla veridicità delle autocertificazioni dei richiedenti la concessione del marchio e compiono ispezioni nei luoghi di produzione per verificare la sussistenza e il rispetto delle condizioni essenziali per l'autorizzazione.
      Viene predisposto un sistema sanzionatorio volto a punire eventuali abusi o illeciti nell'uso del marchio e le false dichiarazioni rilasciate in sede di adesione al protocollo.
      Viene inoltre conferito al marchio italiano un riconoscimento in ambito internazionale, attraverso una procedura di registrazione del certificato ottenuto nel territorio nazionale come marchio comunitario.
 

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